Le ragioni sono tante.
La prima potrebbe essere che capita di imbattersi in un libro scritto da un medico di medicina generale (Giuliano Bono è il nome del medico e “Il tempo di Morire” il titolo del suo libro) , e che al termine della lettura ti venga voglia di far sapere all’autore che gli sei grato per quello che ha scritto e che ti piacerebbe condividere i suoi insegnamenti con chi affronta il tuo stesso percorso di lavoro.
Capita poi che quel medico ti risponda e che da lì nasca uno scambio di idee e materiale che ritieni troppo prezioso per non inserirlo in un blog di medicina generale.
Ma quel libro probabilmente sei andato a cercarlo perché la voglia di approfondire temi come il fine vita, la fase terminale, le cure palliative – tutti termini che col tempo imparerai a distinguere e maneggiare – la sentivi già da tempo. Più che una voglia, in molte occasioni si è trattato di un senso di inadeguatezza misto a timore. Il timore di non sapere come comportarti con un paziente prossimo alla morte, quali parole usare per far sentire la tua vicinanza a lui e ai suoi familiari senza risultare patetico o banale, e il timore che tutto questo potesse impedirti di diventare un medico completo. E quale soddisfazione leggere e rendersi conto che tutto quello che non sai, lo puoi imparare!
Puoi imparare a gestire i sintomi e le sofferenze degli ultimi giorni di vita, puoi imparare a riconoscere i segni della fase finale, puoi persino imparare a sviluppare empatia! Ma come, non era un dono innato che caratterizzava pochi clinici eletti?! No! E’ un’abilità che si può apprendere con la pratica.
Ma soprattutto impari che, per usare le parole di Giuliano Bono, il “malato inguaribile” non è più “un malato incurabile”.
Poi racconti la tua idea ad un amico, giovane medico palliativista appassionato del suo lavoro. E lui accetta di darti una mano con le storie che hai in mente di scrivere. Allora la domanda iniziale si trasforma e diventa: perché non ci si dovrebbe occupare di cure palliative in un blog di medicina generale?
Credo che l’insegnamento delle cure palliative debba far parte del normale iter formativo di ogni medico e soprattutto del medico di medicina generale.
Questo a meno che non si decida consapevolmente di salutare i propri assistiti e consegnarli nelle mani di persone certamente esperte, ma altrettanto certamente estranee , in un momento in cui avere accanto il medico della famiglia, il medico che meglio di altre figure può interpretare e accompagnare le decisioni di quei pazienti che ha seguito per un ‘intera vita, rappresenta sicuramente un’occasione di conforto.
Parleremo di gestione della terapia del dolore, di sedazione palliativa e di come diagnosticare la fase terminale e affrontare i sintomi ad essa legati. Ci sarà anche spazio per la riflessione su temi di bioetica: eutanasia, suicidio assistito e molto altro.
Per concludere e cominciare quindi il nostro viaggio, voglio citare un passaggio del libro di Iona Heath “Modi di Morire”:
“ (…) nel corso degli ultimi cent’anni, lo spettacolare successo della medicina scientifica ha permesso ai medici di allontanarsi dal loro ruolo tradizionale di “ persone che hanno familiarità con la morte”. La sfida tecnologica a prolungare la vita ha gradualmente avuto la meglio sulla qualità della vita vissuta.
(…) L’arroganza della medicina scientifica alimenta crescenti aspettative pubbliche di perfetta salute e tenace longevità e questi processi sono sfruttati con avidità da giornalisti e uomini politici e, soprattutto, dall’industria farmaceutica. Lo scopo dell’assistenza sanitaria e il metro in base al quale si è valutata è diventato, in grandissima misura, il semplice prolungamento della vita. Non facciamo che parlare di morti prevenibili, come se la morte potesse essere prevenuta piuttosto che posticipata. Indulgiamo in attività e restrizioni che dovrebbero farci vivere più a lungo, e sembra che l’opportunità di molte morti non debba mai essere discussa.
(…) Malgrado le dispendiose pretese della medicina, la morte resta l’inevitabile conclusione della vita e spesso è imprevedibile, arbitraria e ingiusta: eppure viene considerata sempre più come un semplice insuccesso della medicina e dei medici. La medicina non può promettere di dare sollievo a ogni malessere e dolore corporeo; eppure noi siamo sempre meno disposti a sopportarli e sempre più convinti di avere diritto a una salute perfetta. Scienziati e medici, ma anche giornalisti e politici, sono ampiamente responsabili della perpetuazione di queste illusioni pericolose, che finiscono per danneggiare, demoralizzare, stigmatizzare e deludere ancora più chi sta morendo e chi soffre di malattie croniche per le quali non esiste rimedio e cura”.
L’autore
Francesco Magnante è un (quasi non più, ma ancora per un po’) giovane medico di medicina generale… in attesa…
Per il suo stile stringato, ma intenso, viene detto dai suoi collaboratori “bugiardino”.